Leggere la crisi attraverso la canzone

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Riflettevo questa mattina su alcune canzoni politiche degli Sessanta, precisamente su “Nina ti te ridcordi” di Gualtiero Bertelli, “O cara moglie” di Ivan Della Mea e “Contessa” di Paolo Pietrangeli. Sono canzoni che hanno segnato un’epoca perché davano voce alla sofferenza delle classi subalterne, all’esclusione sociale, ai pregiudizi che riguardavano i poveri, i non istruiti, gli esclusi dal mondo borghese, quelli che venivano irrisi per il loro modo di parlare (decisamente dialettofono) e di vestire. Quelli che rappresentavano insomma il serbatoio di manovalanza, che venivano usati e gettati nel nulla, alla faccia dei diritti Costituzionali. Avevano però una fortuna: qualcuno si era fatto portavoce del loro grido di disperazione, del loro bisogno di aiuto, di lavoro e di cultura. Era il PCI di Luigi Longo e poi di Enrico Berlinguer. Non senza contraddizioni della dirigenza (specie nei rapporti con l’Urss), le classi subalterne – quel popolo guardato con sospetto dalla borghesia benpensante – avevano una loro rappresentanza, coltivavano speranze e soprattutto non si sentivano lasciate sole nelle loro quotidiane sofferenze. Anche il licenziato di “O cara moglie”, pur nella disperazione di chi ha perso il lavoro (“Proprio stamane là sul lavoro / con il sorriso del capo sezione / mi è arrivata la liquidazione, / mi han licenziato senza pietà. // E la ragione è perché ho scioperato / per la difesa dei nostri diritti, / per la difesa del mio sindacato, / del mio lavoro e della libertà”), trovava nella lotta un motivo di riscatto, un senso alla sua azione (“lottare per la libertà). La libertà significava riconoscimenti di diritti, possibilità di costruire un futuro migliore per sé stessi e per i propri figli. Ma questo cammino di liberazione si scontrava contro i pregiudizi delle classi dominati, arroccate a difendere antichi e nuovi pivilegi. Non senza un brivido di disgusto e di indignazione classista, Paolo Pietrangeli fa dire all’interlocutore della sua Contessa: “”Che roba Contessa all’industria di Aldo / han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti / volevano avere i salari aumentati / gridavano, pensi, di essere sfruttati / e quando è arrivata la polizia / quei quattro straccioni han gridato più forte / di sangue han sporcato il cortile e le porte / chissà quanto tempo ci vorrà per pulire”. “Ignoranti” e “straccioni” forse, ma sorretti dall’idea che anche per loro esistesse una possibilità di migliorare la vita, di garantire alla generazione dei figli quello che a loro era stato programmaticamente negato. Naturalmente si faceva presente alla Contessa quali conseguenze morali e sociali potevano scaturire da quelle rivendicazioni inaccettabili: “”Sapesse Contessa che cosa m’ha detto / un caro parente dell’occupazione / che quella gentaglia rinchiusa là dentro / di libero amore facea professione. / Del resto mia cara di che si stupisce / anche l’operaio vuole il figlio dottore / e pensi che ambiente che può venir fuori / non c’è più morale, Contessa”. Già “ignoranti”, “straccioni” e libertini che miravano a sovvertire l’ordine sociale, che sognavano di far studiare i loro pargoli cenciosi fino al conseguimento della laurea, magari in Medicina.
I tempi sono cambiati (le canzoni citate, se non erro, risalgono al 1966 o giù di lì), è crollato il muro di Berlino, abbiamo avuto Craxi, Berlusconi ecc, abbiamo assistito alla metamorfosi del PCI, poi PDS, poi DS, poi PD e a ogni cambiamento di sigla abbiamo assistito a un cambiamento di referente sociale: non più esclusivamente il mondo operaio e il mondo degli esclusi, non solo operai e disoccupati ma anche la borghesia illuminata, non più gli operai ma anche gli imprenditori, fino ad arrivare ai ceti medi e alle grandi multinazionali, al capitale finanziaro ecc. Ad ogni spostamento dei vertici scompariva il riferimento alla base storica: coloro che avevano dato sostanza ai partiti della Sinistra italiana venivano abbandonati al loro destino, alla deriva. Sempre attenzione ai centri mentre le periferie scomparivano dai riferimenti politici e cominciavano ad essere guardate con sospetto, come regno in cui dominava il razzismo, l’ignoranza e la povertà endemica. Lo slittamento era avvenuto: coloro che si definivano – nei salotti televisivi – di Sinistra, portavano avanti, una volta al potere, politiche di Destra ultraliberista. Il mutamento è iconograficamente palese: foto che mostrano Berlinguer tra gli operai e foto di Renzi festante tra Marchionne e altri manager di multinazionali.
Chi ha finito per dare voce agli ultimi della società? A coloro che la crisi ha messo in ginocchio? A chi aveva perso la speranza di poter avere un ruolo in questo mondo? Quella che era la base dei partiti di Sinistra si è spostata in gran parte nel M5S e in parte minore nella Lega. Capiamoci ora: molti sono voti di protesta, voti che chiedono una svolta ai partiti da cui provengono, voti che chiedono un cambiamento, un ripensamento serio su quello che in questi anni, in nome della Sinistra, è stato commesso (Jobs Act, legge 107, legge Fornero, politiche energetiche ed economiche, sanità, difesa dei privilegiecc), la fine di un disprezzo che ha finito per abbattersi pesantemente sulle vite di milioni di persone.
Facciamoci una domanda semplice: chi sta rispondendo alla disperazione dell’uomo protagonista della canzone “Nina ti te ricordi” di Gualtiero Bertelli, “Amarse no xe no un pecato / Ma ancuo xe un luso de pochi / E intanto ti Nina ti spèti / E mi son disocupà. (Amarsi non è, no, un peccato / ma oggi è un lusso di pochi / e intanto tu Nina aspetti un figlio / e io sono disoccupato.)?

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